Globalizzazione: effetti nella realtà del Brasile

Intervista al’Ing. Carlo Rossi

 

Il contesto politico ed economico Brasiliano come è stato “affetto” dalla Globalizzazione?

Nella misura in cui la globalizzazione denota la forte integrazione degli scambi commerciali internazionali, il Brasile è stato fortemente interessato dal fenomeno e vale la pena citarne alcuni esempi su differenti mercati per intenderne gli effetti.

Le esportazioni del Brasile hanno sempre sofferto delle politiche protezionistiche e delle limitazioni imposte (p. es. con dazi alle merci in entrata) dai Paesi del Primo Mondo.

Nel caso dei minerali ferrosi, il Brasile ha dovuto attendere lo sviluppo economico di Paesi non allineati (Cina e India) per potersi imporre come esportatore e trarre finalmente beneficio dalla grande disponibilità dalle proprie risorse minerali.

Differente sorte è stata finora riservata ai combustibili biologici, come l’alcool combustibile ottenuto dalla canna da zucchero, che il Brasile produce in grandi quantità e a basso costo, ma la cui esportazione è ostacolata con pesanti imposte d’importazione, principalmente dagli USA in quanto minaccia sia la propria produzione di alcool ottenuto dal mais, sia per gli impatti sul prezzo del petrolio.

Non a caso, l’esportazione dei combustibili di origine biologica è uno dei temi caldi in discussione nella WTO (World Trade Organization), che vedono contrapporsi da un lato i Paesi in via di sviluppo, desiderosi di nuovi mercati verso i quali esportare il proprio prodotto, e dall’altro i Paesi industrializzati che, pur affamati di combustibili a basso prezzo, non sono disposti a cedere il controllo sul loro prezzo.

Stessa sorte tocca ai prodotti agro-pecuari e agricoli (carne, ortaggi, frutta, ecc.), le cui esportazioni brasiliane verso gli USA e soprattutto l’Europa, sono sempre state ostacolate in ragione della tutela dei “prodotti nostrani”; come contropartita a tali limitazioni, sono le misure protezionistiche che il Brasile continua a sua volta ad adottare verso l’importazione di prodotti stranieri, a discapito delle tasche dei brasiliani.

Potremo continuare a lungo con gli esempi ma giungeremo sempre alle stesse conclusioni: “Se il risultato della globalizzazione fosse di rendere più facilmente disponibili le migliori merci al minor prezzo, sarebbe un indiscutibile beneficio per consumatori in termini di economia e di miglioramento della qualità della vita e oggi sulla tavola degli italiani ci potrebbero essere alimenti naturali e di qualità a un prezzo minore di quello oggi pagato per prodotti “industrializzati”.

 

Cos’è cambiato nel modello industriale?

Per intendere gli effetti della globalizzazione sullo sviluppo industriale del Brasile è necessario rilevare che le considerazioni esposte alle merci, pare non si applichino al mercato dei capitali, la cui circolazione da sempre resa possibile, è ancor più facile in una realtà globalizzata.

Lo sviluppo del mercato dei beni di consumo avvenuto in Brasile negli ultimi otto anni, ha attratto sin dall’inizio capitali stranieri, in un primo momento a fini speculativi per lucrare sulla forte crescita del locale mercato azionario, per poi orientarsi alla speculazione industriale.

Approfittando della disponibilità di mano d’opera a basso costo, della tollerante applicazione della legislazione jus-lavoristica che garantisce la massima flessibilità del lavoro e degli sgravi fiscali spesso offerti dai politici locali alle nuove iniziative imprenditoriali, gli investimenti sono stati indirizzati nella produzione di beni e servizi di largo consumo (elettronici, autoveicoli, reti di comunicazioni telefoniche mobili, ecc.), secondo un modello di sviluppo del tutto analogo a quello in essere negli altri paesi industrializzati.

Non sorprende se analoghi sono stati, nel bene e nel male, gli effetti immediati di tale forte sviluppo: maggior disponibilità economica con forte aumento della classe media, congestionamento delle città e inquinamento, accentuazione del fenomeno dell’inurbamento (San Paolo ha superato i 16 milioni di abitanti), del consumo di droghe leggere e pesanti, etc.

“Tuttavia, alla velocità della crescita della diffusione delle merci tipiche oggetto del desiderio (auto, cellulari, occhiali, etc.) dei paesi occidentali e del modello di sviluppo industriale globalizzato, conseguenza della crescita della capacità di spesa, non ha fatto riscontro altrettanta velocità nell’adozione di modelli culturali occidentali e nella diffusione di quel congiunto di principi etici di responsabilità e di solidarietà che sono a fondamento del modello di sviluppo dei paesi occidentali e di quelli europei in particolare”.

 Che la globalizzazione abbia influenzato il modello industriale ma non certo quello di sviluppo sociale è confermato anche da alcuni indicatori sociali: la rapida riduzione del tasso di natalità a valori occidentali si riscontra quasi esclusivamente presso le classi abbienti, come conseguenza della maggior propensione al consumo e non di una maggior responsabilità sociale.

Il forte incremento di spesa per attività ricreative o culturali, riguardano quasi esclusivamente viaggi finalizzati all’acquisto, ossia verso destinazioni note per la disponibilità di merci come gli USA e non mete di interessi storico o culturale come l’Europa, permanendo invariata la spesa per acquisto di libri o per la partecipazione a programmi culturali, quali concerti, teatri, ecc.

 

Quali gli effetti sull’istituzione scolastica ed universitaria?

Se la globalizzazione è governata dalle multinazionali e dalle istituzioni finanziarie ed è pertanto orientata esclusivamente al profitto, il Brasile offre l’esempio di come l’unica forza in grado non certo di contrapporsi ad essa ma almeno di tentare di ridurne gli effetti negativi sulla collettività e approfittare delle nuove risorse economiche che la stessa rende disponibili per sostenere lo sviluppo dello stato sociale, sia un’amministrazione di governo che precisi obiettivi in tal senso e sappia formulare e tradurre in pratica i corrispondenti programmi.

Così è stato per quelli dell’amministrazione Lula, il cui inatteso successo è dovuto alla disponibilità di risorse economiche maggiori del previsto e sulle quali il governo ha potuto fare affidamento senza la necessità di ricorrere alle tradizionali leve, quella dell’indebitamento pubblico o quella fiscale con l’introduzione di nuove imposte o con l’aumento delle aliquote in vigore.

In un paese storicamente allineato al modello privatistico nordamericano, è stato possibile operare una redistribuzione delle risorse verso le fasce sociali e le categorie più deboli o carenti, con numerosi programmi sociali tra i quali quelli rivolti a migliorare l’accesso generalizzato a cure mediche e dando un forte impulso alla diffusione dell’istituzione scolastica.

Un esempio per tutti è il progetto varato dall’amministrazione Lula e denominato “La mia casa, la mia vita”: prevedendo finanziamenti pubblici agevolati riservati alle classi di bassa rendita finalizzati alla costruzione della prima casa, pare sia stato responsabile di 3 punti percentuali della crescita del PIL, a fronte del costo di 1 punto percentuale.

Il suo successo è stato così al di sopra delle aspettative da essere ora condiviso anche da parte dei suoi più acerrimi antagonisti, e da essersi guadagnato unanimi riconoscimenti internazionali: la stessa ONU lo ha premiato e lo promuove come modello per tutti i paesi in via di sviluppo.

 

Condivide il concetto secondo cui le tre istituzioni del governo mondiale della globalizzazione hanno instaurato un processo d’impoverimento dei più deboli attraverso le cosiddette attività predatorie di privatizzazione dei profitti e socializzazione dei costi?

Certamente e non è stato per caso che uno dei principali obiettivi dell’amministrazione del presidente Lula è stato proprio quello di svincolare il Brasile dal FMI, tramite la restituzione anticipata del prestito, obiettivo raggiunto durante i primi anni del suo governo.

 

Da un punto di vista culturale, se e come è stata percepita in Brasile l’omologazione all’occidentalismo?

Se come modello culturale s’intende quello “consumistico”, il Brasile si è prontamente allineato a quello dei paesi occidentali.

 

E’ realizzabile secondo Lei un progetto di Mondializzazione, ovvero di integrazione e non omologazione delle culture?

Nella misura in cui la globalizzazione è governata da soggetti che perseguono esclusivamente il lucro e che possono sottrarsi dal controllo dei governi, l’unico sviluppo prevedibile è verso l’omologazione nei bisogni e dei consumi.

 

Attraverso la sua esperienza, italiana e brasiliana, qual è stata la sua percezione in riferimento ai due modelli di vita? Ha avuto effetti diversi sui due mondi la globalizzazione?

Le differenze sono evidenti: in una società matura come quella europea, dove il livello culturale è alto e il patrimonio delle tradizioni è consolidato, gli impatti della globalizzazione sono circoscritti a quelli economici; in quelle dove tale patrimonio è ancora in fase di metabolizzazione, il risultato della globalizzazione non si limita all’aspetto economico ma travolge e soppianta ogni forma culturale presente.

 

La globalizzazione come ha cambiato la nostra vita?

Esasperando la diffusione del modello capitalistico della creazione di “falsi bisogni” presentati come soddisfacimento delle esigenze primarie ma in realtà orientati allo sviluppo dei consumi e non alla soddisfazione di legittime istanze.

 

E’ condivisibile secondo Lei un concetto completamente “negativizzante” della globalizzazione?

 In teoria la globalizzazione potrebbe aiutare a ridurre la povertà dei Paesi in via di sviluppo, come sostengono i suoi fautori, ma l’esperienza dimostra che questo è vero solo nel caso in cui siano già presenti istanze che sappiano indirizzare verso il sociale le maggiori risorse disponibili.

 

Secondo Lei dovremmo camobiare qualcosa del modello di vita attuale? Se si cosa?

Smetterla di rincorrere modelli di successo falsi e strumentali e comprendere che la qualità della vita non è definibile con parametri assoluti, come i metri quadrati del proprio appartamento o la potenza della propria auto, ma da un insieme di valori personali e non numerabili, la cui produzione non è delegabile, non possono essere acquisiti sul mercato ma che richiedono la nostra esclusiva dedizione personale ma senza per questo essere astratti: la possibilità di realizzare se stessi, avendo un lavoro non umiliante, una casa e tempo ozioso da dedicare a se, alla propria famiglia e a relazioni sociali non direttamente finalizzate al lucro o ai propri interessi culturali.

Ritrovare quindi l’impegno sociale e lottare per un progetto politico finalizzato e realizzare una società equa che assicuri a tutti una buona qualità di vita e permetta a ciascuno di realizzare i propri sogni, attuando la nostra natura di animali sociali.

 

Se fino ad oggi siamo pervenuti ad una situazione di massima entropia in termini politici ed economici, in cosa abbiamo fallito? Siamo sicuri che esiste un’alternativa al modello economico attuale?

 Anche se fautore di grandi progressi tramite lo sfruttamento sconsiderato delle risorse naturali e delle innovazioni tecnologiche frutto delle conquiste del sapere, il modello economico attuale ha dimostrato di non poter assicurare una distribuzione equa dei benefici ma rimarrà attuato finché quelli che ne traggono vantaggio riusciranno a imporlo, con la persuasione o con la forza, al resto del mondo.

Come la storia insegna, quando nelle società nascono nuove istanze non più controllabili, avviene una trasformazione, anche cruenta, verso un nuovo equilibrio delle forze sociali ma non necessariamente verso una situazione di maggior giustizia sociale.

Anche confidando nei progressi dello sviluppo scientifico e tecnologico che renderà presto disponibili grandi quantità di energia rinnovabili a basso costo, è possibile in teoria definire un modello economico alternativo universalmente valido che superi i limiti dell’attuale, ma dubito che esistano le condizioni culturali e politiche per applicarlo.

“Il limite resta il fattore umano, con le sue ambizioni, gli interessi esistenti, la difesa delle posizioni di rendita e la mancanza di forze sociali sufficientemente coese in grado di imporlo”.

“La variante brasiliana del modello capitalistico classico che vuole coniugare sviluppo di ricchezza e sua distribuzione è indubbiamente un esempio interessante: vedremo se la sua evoluzione sarà all’altezza delle attese”.

 

Il Brasile è rappresentativo di una parte di quel mondo “isolato” dal fenomeno della globalizzazione? Come reagisce? Esistono forme di economia alternativa?

L’esperienza brasiliana di controllo da parte dello stato delle principali risorse naturali, quali il petrolio o le miniere di minerali ferrosi, rappresenta una forma alternativa a quella praticata da economie socialiste del passato e con risultati certamente migliori, anche rispetto a quelli ottenuti da economie di mercato puramente capitalistiche: il fatto è che, pare, che anche le imprese brasiliane, una volta libere di agire, stanno a loro volta applicando ad altri Paesi in via di sviluppo, gli stessi principi di sfruttamento tipici del modello capitalistico che nel passato sono stati imposti al Brasile da pare di chi lo ha colonizzato: da colonia a colonizzatore!

  

Conclusioni

Se globalizzare significa esportare un modello economico e culturale che ha già mostrato tutte le proprie carenze, in paesi con una democrazia ancora giovane o se si traduce nel trasferire beni e produzioni in paesi più a buon mercato, approfittando dell’assenza di controlli da parte di governi fragili, senza esportavi nel contempo le conquiste sul piano etico, il rischio è attuare una nuova colonizzazione.

Se il risultato della globalizzazione fosse di rendere più facilmente disponibili le migliori merci al minor prezzo, sarebbe un indiscutibile beneficio per consumatori in termini di economia e di miglioramento della qualità della vita e oggi sulla tavola degli italiani ci potrebbero essere alimenti naturali e di qualità a un prezzo minore di quello oggi pagato per prodotti “industrializzati”.

Redazione